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Una Vita da Cinefilo<p><strong>Capitolo 410: La Strana Voglia di&nbsp;Film</strong></p><p class="">Dopo un mese di giugno piuttosto misero dal punto di vista cinematografico (già vi avevo spiegato il motivo nel <a href="https://unavitadacinefilo.com/2025/07/01/capitolo-409-traslochi-e-partenze/" rel="nofollow noopener" target="_blank">precedente capitolo</a>), ora che mi sono momentaneamente spostato nella mia umile residenza estiva in quel di Monopoli, ho ripreso ad avere un buon ritmo, tra un panzerotto e l’altro. A questi sette film ci sarebbe da aggiungere anche un rewatch di <em>Ritorno al Futuro</em>, ma siccome non c’è molto da dire su un capolavoro visto e amato da tutti, ho preferito ometterlo dalla lista degli ultimi film visti (che invece trovate completa su <a href="https://letterboxd.com/lessio/films/diary/" rel="nofollow noopener" target="_blank">Letterboxd</a>). Voi invece che avete visto ultimamente?</p><p class=""><strong>Diciannove (2024):</strong> Aspettavo da molto il film d’esordio di Giovanni Tortorici e ammetto di aver avuto forse qualche aspettativa di troppo (il trailer era davvero molto allettante): è la storia di un ragazzo siciliano di 19 anni che parte per fare l’università a Siena. Fino a qui tutto bene, se non fosse che il film prende delle direzioni decisamente pretenziose, illogiche, che trasformano il protagonista in un asociale e allontanano lo spettatore da ciò che poteva essere l’ottimo spunto iniziale: raccontare il disagio di un adolescente di oggi alle prese con la società e il mondo fuori dal liceo (e dal nido materno). Non ci siamo proprio, ma se siete curiosi di sapere di che si tratta lo trovate su Mubi.<br>••</p><p class=""><strong>I Love Radio Rock (2009):</strong> Uno dei miei comfort movie per eccellenza. Uno dei motivi per cui nel giugno 2009 tornai a Roma da un viaggio di circa un mese in giro per l’Europa è stato perché era uscito questo film di Richard Curtis in sala e non potevo perdermelo (ma questa storia nel <a href="https://unavitadacinefilo.com/2025/06/18/la-strada-altrove-un-diario-un-viaggio-una-storia/" rel="nofollow noopener" target="_blank">libro</a> non l’ho scritta, forse non sarebbe stata credibile!). La vicenda è ispirata alla storia delle radio pirata che imperversavano nel Regno Unito negli anni 60: radio libere, che trasmettevano il “diabolico” rock a ogni ora da navi situate in acque non controllate dal governo. Se su queste navi ci mettete Philip Seymour Hoffman, Bill Nighy o Rhys Ifans, tra gli altri, oltre a una colonna sonora clamorosa, il risultato rasenta il capolavoro: non lo è, sia chiaro, ma per quello che sono i miei gusti ci si avvicina parecchio.<br>•••••</p><p class=""><strong>La Città Proibita (2025):</strong> Ho sentito parlare davvero molto bene di questo nuovo lavoro di Gabriele Mainetti, che già mi aveva conquistato con <em>Lo Chiamavano Jeeg Robot</em>. Poi però <em>Freaks Out</em> mi aveva lasciato freddino e per questo motivo ho forse sottovalutato l’arrivo di questo nuovo film, che arriva ora su Netflix e merita davvero tutti gli elogi che ha avuto. Una ragazza cinese, esperta di kung fu, arriva a Roma per cercare sua sorella, ma ciò che trova sono soprattutto criminali e brutte notizie. Dovrà cercare aiuto in un cuoco romano per scoprire la verità. Innanzitutto le scene di combattimento sono davvero eccezionali, il film è coreografato benissimo e, da un film italiano, non è qualcosa che ti aspetti sempre. Inoltre ho trovato molto interessante il sottotesto su come Roma sta cambiando, sui tanti volti del rione Esquilino, a tratti più interessante del film stesso. Mainetti svolge il lavoro come si deve: il film è intrattenimento puro, ti fa trascorrere una serata piacevole, racconta un angolo di Roma lontano dalle cartoline e dai cliché (più o meno, su qualcuno ci marcia un po’, ma non in maniera fastidiosa). Benissimo Sabrina Ferilli e Marco Giallini.<br>•••½</p><p class=""><strong>Memento (2000):</strong> Come si fa a concepire un film in cui il montaggio avviene all’inverso? Ovvero: ogni scena inizia dalla fine della scena successiva e, nonostante questa confusione, funziona perfettamente. Guy Pierce è un assicuratore che, in seguito a un incidente in cui sua moglie è stata violentata e uccisa, perde la capacità di assimilare nuovi ricordi: per questo gira con una polaroid dove fotografa volti e luoghi, prendendo appunti su ciò che gli succede. Lo scopo è trovare l’assassino di sua moglie e ucciderlo. Un film totalmente geniale, in cui il montaggio all’inverso pone lo spettatore nella stessa condizione del protagonista, incapace di sapere cos’è successo prima, se non attraverso gli appunti segnati dietro ogni polaroid. Non lo vedevo da oltre dieci anni e non è invecchiato di un giorno: stupendo.<br>•••••</p><p class=""><strong>Revenge (2017):</strong> Esordio cinematografico di Coralie Fargeat, qualche anno prima di girare il cult <em><a href="https://unavitadacinefilo.com/2024/10/29/recensione-the-substance-2024/" rel="nofollow noopener" target="_blank">The Substance</a></em>. Un uomo sposato porta una ragazza molto avvenente in una lussuosa villa nel mezzo del deserto. Qui viene raggiunto da due amici e, senza entrare troppo nei dettagli, la ragazza si ritroverà a passare qualche brutto quarto d’ora. Dopo essere sopravvissuta a un tentativo di omicidio (in quanto una sua denuncia avrebbe potuto distruggere la vita dei tre uomini), da preda diventa predatrice e, come da titolo, cerca vendetta. Visivamente è un film bellissimo, ci sono delle idee che già anticipano alcune scene disgustose per cui è stato acclamato <em>The Substance</em>. Certo, la storia è totalmente inverosimile (se lo vedrete capirete perché), ma dal punto di vista dell’intrattenimento è davvero un’opera appetitosa. Il più classico dei <em>revenge movie</em> (e, come dicevo, il titolo è davvero poco equivocabile): lo trovate su Mubi.<br>•••½</p><p class=""><strong>Scarecrow – Lo Spaventapasseri (1973):</strong> Quanto era bello il cinema degli anni 70? Non so come sia possibile che, non solo non avessi mai visto questo filmone di Jerry Schatzberg, ma prima di qualche mese fa non l’avevo neanche mai sentito nominare. Eppure è un film che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes, con Gene Hackman e Al Pacino! Voi lo conoscete? Ditemi di no, vi prego, e in tal caso: recuperatelo al più presto. Hackman e Pacino sono due vagabondi intenzionati a diventare soci e a mettere in piedi un autolavaggio a Pittsburgh, dove il più anziano dei due ha una piccola fortuna da parte in banca. Per questo si mettono in viaggio per gli States, tra lavoretti, bar, risse, prigioni e tanti bellissimi dialoghi, in un road movie scapestrato e irresistibile (Al Pacino, sopra le righe, è straordinario). Per tutto il film c’è un’atmosfera bellissima, nonostante qualche dramma, è l’atmosfera di un cinema che non c’è più, con le sue imperfezioni, con la grana della pellicola, la macchina da presa che ogni tanto perde il fuoco: quanta anima però. Filmone, filmone, filmone.<br>••••</p><p class=""><strong>La Strana Voglia di Jean (1969):</strong> Una sorpresa, di una bellezza totalmente inaspettata. Si tratta del film con cui Maggie Smith, ai tempi splendida trentacinquenne, ha vinto il suo primo Oscar (su due): tratto da un romanzo e poi da una piece teatrale, il film di Ronald Neame (in seguito regista de <em>L’Avventura del Poseidon</em>) racconta la storia di un’insegnante di storia in un collegio femminile di Edinburgo, negli anni 30. Durante il primo atto pensi continuamente “ah, ok, sarà tipo <em>L’Attimo Fuggente</em>“, poi però il punto di vista cambia e restiamo completamente spiazzati dal modo in cui si sviluppa la vicenda. Un film di cui si parla pochissimo, quasi nulla, ma che invece merita decisamente il nostro tempo, cercatelo. Sorvoliamo sull’insensato titolo italiano, che fa pensare a un film con Lino Banfi, quando il titolo originale era <em>The Prime of Miss Jean Brodie</em>, che riprende una linea di dialogo che torna spesso durante la visione. Bellissimo.<br>••••</p><p><strong>SERIE TV: </strong>Ho finito la quarta stagione di <strong>The Bear</strong> e, come anticipavo nel capitolo precedente (dopo che avevo visto solo un paio di episodi), l’ho trovata molto bella. Sì, è vero che è un po’ ripetitiva, ma è come se le vicende facessero un passetto in avanti. Soprattutto, più che della storia ci si lega molto ai personaggi: dopo un paio di settimane senza nuovi episodi (la quinta stagione è attualmente in lavorazione) ciò che mi manca non è sapere il destino del ristorante, di cui mi interessa poco, ma i singoli personaggi. Da sottolineare il bellissimo episodio del matrimonio, che fa da contrappunto a quello, straordinario, della cena di Natale.</p><p class=""></p><p><span></span></p><p><a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/cinema/" target="_blank">#Cinema</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/commenti/" target="_blank">#commenti</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/da-vedere/" target="_blank">#daVedere</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/diciannove/" target="_blank">#diciannove</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/film/" target="_blank">#film</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/la-citta-proibita/" target="_blank">#laCittàProibita</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/la-strana-voglia-di-jean/" target="_blank">#laStranaVogliaDiJean</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/memento/" target="_blank">#memento</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/recensione/" target="_blank">#recensione</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/revenge/" target="_blank">#revenge</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/scarecrow/" target="_blank">#scarecrow</a></p>
Marco :ironman:<p><a href="https://www.rollingstone.it/cultura/societa/prendete-anche-voi-la-grande-decisione-ignorate-le-sezioni-dei-commenti-sui-social/984819/" rel="nofollow noopener" translate="no" target="_blank"><span class="invisible">https://www.</span><span class="ellipsis">rollingstone.it/cultura/societ</span><span class="invisible">a/prendete-anche-voi-la-grande-decisione-ignorate-le-sezioni-dei-commenti-sui-social/984819/</span></a> </p><p><a href="https://mastodon.uno/tags/socialmedia" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>socialmedia</span></a> <a href="https://mastodon.uno/tags/commenti" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>commenti</span></a></p>
Una Vita da Cinefilo<p><strong>Capitolo 407: Gli Spiriti di&nbsp;Maggio</strong></p><p class="">Questo mese sto guardando pochi film, lo so, è incredibile. Un po’ è colpa della primavera, che mi porta fuori casa più di quanto vorrei, un po’ del lavoro, che mi trattiene al pc anche negli orari che solitamente dedico al cinema, un po’ è colpa degli ultimi ritocchi di – udite! udite! – un libro che sono in procinto di pubblicare, <em>La Strada Altrove</em>. Al momento opportuno farò un post dedicato, per dirvi di più, per ora posso anticipare che si tratta di una storia autobiografica passata in giro per il mondo, tra Parigi, Berlino, New York e tante altre città, un racconto di formazione tra le inquietudini della generazione post-universitaria, oltre che una guida emozionale di città meravigliose (in cui ci sarà spazio per tante citazioni cinematografiche, vero faro di ogni mio viaggio). A ogni modo, sarà disponibile online e in libreria dal 15 giugno, vi terrò aggiornati, che lo vogliate o no! Ora però passiamo ai film, che mi sono dilungato un po’ troppo.</p><p class=""><strong>Margini (2022):</strong> Su RaiPlay trovate questo bel film di Niccolò Falsetti, che avevo già avuto il piacere di vedere in sala un paio d’anni or sono. Premio del pubblico alla Settimana Internazionale della Critica al Festival di Venezia, questo film d’esordio, prodotto tra gli altri dai Manetti Bros, è divertente, scanzonato, ti costringe a fare i conti con il peso dei tuoi sogni ma sa farlo con leggerezza e vitalità. Siamo a Grosseto, una ventina d’anni fa: tre ragazzi che suonano in una band punk locale, stanchi di doversi sempre spostare ovunque per suonare e per sentire le band che amano, decidono di organizzare il concerto di un celebre gruppo statunitense là da loro, con tutti gli oneri del caso: trovare una location, trovare l’attrezzatura e soprattutto trovare i soldi. Il cinema può anche essere una cosa semplice, basta avere belle idee. Una bella sorpresa, da vedere.<br>•••½</p><p class=""><strong>Tendaberry (2024):</strong> Altra opera prima, stavolta di Haley Elizabeth Anderson. L’incipit e la conclusione sono davvero emozionanti, nel mezzo ci sono tante cose da dire e una voce non sempre del tutto coerente. Ma quanta passione, quanta emozione, quanta voglia di urlare “cinema”! La vicenda segue i passi di una ragazza a Brooklyn, con un figlio in grembo e un ragazzo costretto a tornare in Ucraina dalla famiglia. Una storia di formazione che ha incantato il Sundance e che ora trovate su Mubi. <em>“Non voglio essere un cumulo di tristezza”</em>, dice la protagonista: diamine, che voglia di abbracciarla, in quel momento. Lunga vita al cinema indipendente, alle riprese con le luci naturali, alle interpretazioni sporche, alla macchina a mano. Da vedere.<br>•••½</p><p class=""><strong>Gloria! (2024):</strong> Ho seguito i David di Donatello e mi sono preso una mezza cotta per Margherita Vicario, che non conoscevo. Incuriosito dai tanti premi ricevuti, ho recuperato il suo film d’esordio dello scorso anno, la storia di una servetta in un istituto di educande del 1800. La ragazza scopre per caso un pianoforte in un magazzino e comincia a suonarlo di nascosto, dimostrando passione e talento per una musica molto più moderna rispetto ai canoni dell’epoca. Nato come omaggio alle tante donne musiciste dell’800, a cui è sempre stato impedito di esprimersi e comporre, a differenza dei colleghi maschi, è un piccolo film pieno di vitalità e gioia. Mi sono proprio divertito.<br>•••½</p><p class=""><strong>Game Night (2018):</strong> Opera seconda di John Francis Daley e Jonathan Goldstein, una commedia simpatica e con un buon cast, dove però si ha costantemente l’impressione che si siano divertiti più loro a girarlo che noi a guardarlo. Rachel McAdams e suo marito Jason Bateman sono dei malati di giochi da tavola, giochi di ruolo, quiz: qualunque cosa, purché si giochi. Una sera il fratello di lui organizza una serata interattiva, con finti rapimenti e indagini, dove però qualcosa va storto: qualcuno viene rapito davvero. Equivoci, qualche gag divertente e poco altro, buono per una serata a cervello spento, senza pretese.<br>•••</p><p class=""><strong>Amore e Guerra (1975):</strong> Negli anni 70 Woody Allen è stato investito da un’ispirazione senza precedenti. Ogni suo film era composto da trovate irresistibili, riflessioni emozionanti, seppur comiche e un’aura di genialità che nei decenni successivi è andata un po’ a fasi alterne (anche se il cinema – e noi con lui – ringrazia). Qui Allen omaggia i classici della letteratura russa, mischiandoli con suggestioni e citazioni di Bergman, raccontando la storia di un inetto che, senza volerlo, diventa un eroe militare. Esilarante quanto sofisticato, è una collezione di battute memorabili, tra cui quella di una strepitosa Diane Keaton: <em>“Amare è soffrire. Se non si vuol soffrire, non si deve amare. Però allora si soffre di non amare. Pertanto amare è soffrire, non amare è soffrire, e soffrire è soffrire. Essere felice è amare: allora essere felice è soffrire. Ma soffrire ci rende infelici. Pertanto per essere infelici si deve amare. O amare e soffrire. O soffrire per troppa felicità. Io spero che tu prenda appunti”</em>. La vita sarebbe migliore se si guardassero più spesso i film di Woody Allen.<br>••••</p><p class=""><strong>Gli Spiriti dell’Isola (2022):</strong> Erano due anni buoni che aspettavo di fare un rewatch di questo bellissimo film di Martin McDonagh, uno dei grandi geni del nostro tempo (è l’unico drammaturgo, oltre a un certo William Shakespeare, che a 27 anni ha avuto quattro suoi spettacoli rappresentati simultaneamente nei teatri del West End di Londra). In un villaggio di poche anime due migliori amici si ritrovano improvvisamente ai ferri corti, mentre al di là del mare imperversano gli spari della guerra civile irlandese. Una tragicommedia dove la disperazione esistenziale tra chi non vuole più sprecare un minuto della sua vita e chi invece non vuole rassegnarsi alla solitudine si snoda come una scazzottata psicologica, in un’escalation di rappresaglie da far impallidire la guerra civile che percepiamo dall’altra parte del mare. Colin Farrell e Brendan Gleeson sono perfetti, in questo film beffardo, tragico, ironico e, soprattutto, infinitamente dolce. Nove candidature agli Oscar (di cui addirittura quattro per gli interpreti) e zero statuette. Un filmone.<br>••••</p><p><span></span></p><p><a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/amore-e-guerra/" target="_blank">#amoreEGuerra</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/cinema/" target="_blank">#Cinema</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/commenti/" target="_blank">#commenti</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/da-vedere/" target="_blank">#daVedere</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/di-che-parla/" target="_blank">#diCheParla</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/film/" target="_blank">#film</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/game-night/" target="_blank">#gameNight</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/gli-spiriti-dellisola-2/" target="_blank">#gliSpiritiDellIsola</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/gloria-2/" target="_blank">#gloria_</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/margini/" target="_blank">#margini</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/recensione/" target="_blank">#recensione</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/significato/" target="_blank">#significato</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/spiegazione/" target="_blank">#spiegazione</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/tendaberry/" target="_blank">#tendaberry</a></p>
CEOTECH.IT<p>Google Search permette di discutere i risultati di ricerca<br><a href="https://mastodon.social/tags/AI" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>AI</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Beta" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Beta</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Commenti" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Commenti</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Discussione" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Discussione</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Google" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Google</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/GoogleSearch" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>GoogleSearch</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/IntelligenzaArtificiale" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>IntelligenzaArtificiale</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/InterfacciaUtente" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>InterfacciaUtente</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Notizie" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Notizie</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Novit%C3%A0" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Novità</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/NuoveFunzioni" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>NuoveFunzioni</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/RicercaGoogle" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>RicercaGoogle</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/SearchEngine" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>SearchEngine</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Sport" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Sport</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/TechNews" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>TechNews</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Tecnologia" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Tecnologia</span></a> </p><p><a href="https://www.ceotech.it/google-search-permette-di-discutere-i-risultati-di-ricerca/" rel="nofollow noopener" translate="no" target="_blank"><span class="invisible">https://www.</span><span class="ellipsis">ceotech.it/google-search-perme</span><span class="invisible">tte-di-discutere-i-risultati-di-ricerca/</span></a></p>
Una Vita da Cinefilo<p><strong>Recensione “Nonostante”: Purgatorio&nbsp;Amaro</strong></p><p class="">Dopo un buonissimo esordio dietro la macchina da presa con <em><a href="https://unavitadacinefilo.com/2018/11/27/recensione-ride-2018/" rel="nofollow noopener" target="_blank">Ride</a></em>, Valerio Mastandrea raddoppia, anzi triplica, scrivendo, dirigendo e interpretando un film che lascia da parte il realismo agrodolce del film precedente, spostando il focus su una storia d’amore atipica, malinconica, surreale ma al tempo stesso molto dolce. Mastandrea è bravissimo a evitare ogni cliché, con il solito equilibrio tra cinismo, malinconia e leggerezza, un tratto che contraddistingue il suo memorabile protagonista e, di conseguenza, tutto il film.</p><p class="">In un ospedale le anime dei pazienti in coma vivono, parlano, passeggiano, in attesa di un risveglio o della morte. Una piccola comunità di persone molto diverse tra loro, con in comune un letto d’ospedale, una certa disillusione nei confronti della vita e un quasi perenne stato d’attesa. Il tempo scorre sempre uguale, tra improvvise raffiche di vento provocate da chi sta per morire, finché tra i corridoi nell’ospedale non si presenta una nuova paziente, anche lei ovviamente in coma, una donna che stravolgerà lo stato d’apatia rendendo molto più spaventosa l’idea della morte o, ancor peggio, della vita.</p><p class="">Se in <em>Ride</em> il tema centrale era l’elaborazione del lutto, in <strong><em>Nonostante</em></strong> c’è un’altra elaborazione da affrontare, quella di chi va via da questo limbo, morendo o, ancor più imprevedibilmente, svegliandosi dal coma, <em>tornando su</em>, come dicono i personaggi. Questa è probabilmente l’idea più potente del secondo film di Valerio Mastandrea: la paura della vita, intesa sia come risveglio che, da un punto di vista meno concreto, come un faccia a faccia con i propri sentimenti, con un’uscita dalla propria comfort zone emotiva. Forse con un terzo atto meno affrettato avremmo potuto parlare di uno dei migliori film italiani dell’anno, Mastandrea però è evidentemente cresciuto e maturato come artista e sta riversando la sua sensibilità e il suo valore anche dietro la macchina da presa. C’è più emozione, forse, in questo purgatorio immaginario che in tanta realtà, soprattutto perché, concedetemi il gioco di parole, al cuor non si <em>coma</em>nda.</p><p class=""></p><p><span></span></p><p><a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/cinema/" target="_blank">#Cinema</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/coma/" target="_blank">#coma</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/commenti/" target="_blank">#commenti</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/da-vedere/" target="_blank">#daVedere</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/di-che-parla/" target="_blank">#diCheParla</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/film/" target="_blank">#film</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/film-italiani/" target="_blank">#filmItaliani</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/mastandrea/" target="_blank">#mastandrea</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/recensione/" target="_blank">#recensione</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/spiegazione/" target="_blank">#spiegazione</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/trama/" target="_blank">#trama</a></p>
Una Vita da Cinefilo<p><strong>Recensione “Lee Miller”: La Ragazza con la&nbsp;Rolleiflex</strong></p><p class="">Il problema atavico di tanti film ispirati alla vita di grandi fotografi e grandi fotografe è che, pressoché sempre, le foto che hanno realizzato sono decisamente più interessanti del contesto in cui si muovono le loro vite. Il film di Ellen Kuras dedicato alla carriera di Lee Miller, modella e musa di Man Ray prima, corrispondente di guerra in qualità di fotoreporter dopo, non fa eccezione, dimostrandosi troppo convenzionale nel raccontare il lavoro di una donna straordinaria, una fotografa immersa per anni in un mondo dominato da uomini armati (da questo punto di vista è stata la più grande della sua epoca, seconda forse soltanto alla spericolata quanto eccezionale Margaret Bourke-White, sulla quale il cinema prima o poi dovrebbe puntare lo sguardo).</p><p class="">Gran parte del film mostra le sequenze in cui, con le libertà narrative del caso, Lee Miller ha scattato le sue immagini più celebri, dalle dipendenti di Vogue con le maschere antincendio alla celeberrima immagine della stessa fotografa intenta a lavarsi nella vasca da bagno di Hitler, dopo la fine della guerra. Sempre chinando il capo verso la sua Rolleiflex, con la quale ha raccontato, oltre agli orrori del mondo, soprattutto donne di qualunque genere, che siano ragazze in un rifugio antiaereo, aviatrici, naziste suicide o bambine spaventate. Saranno questi i frammenti più belli di <strong><em>Lee Miller</em></strong>.</p><p class="">Ellen Kuras è senza dubbio più celebre come direttrice della fotografia che come regista (qui al suo primo film di finzione dopo il documentario <em>The Betrayal</em>, candidato all’Oscar), basti pensare al suo lavoro più importante, <em>Eternal Sunshine of the Spotless Mind</em>, nel quale ha plasmato visivamente le idee di Michel Gondry, contribuendo a consegnare il film alla storia del cinema. Senza dubbio è interessante vedere un’esperta di luci accostarsi al lavoro di una fotografa, che fa della luce il suo inchiostro quotidiano, peccato però che ogni scena proceda con il pilota automatico, sprecando un cast prezioso, costellato da perle come Marion Cotillard e Noemie Merlant, oltre alla protagonista Kate Winslet. Nonostante proceda tutto come ci si aspetti, compresa la galleria delle reali immagini di Lee Miller durante i titoli di coda, è un film pieno di intensità, di carica emotiva, che ha bisogno di far sentire la propria voce. Ma la fatica di Ellen Kuras alla fine non fa altro che rimpolpare la lunga lista di film incentrati sul lavoro di fotoreporter di guerra: da <em>Sotto Tiro</em> a <em>Mille Volte Buona Notte</em>, da <em><a href="https://unavitadacinefilo.com/2015/03/03/recensione-the-bang-bang-club-2010/" rel="nofollow noopener" target="_blank">Bang Bang Club</a></em> al recente <em><a href="https://unavitadacinefilo.com/2024/03/26/recensione-civil-war-2024/" rel="nofollow noopener" target="_blank">Civil War</a> </em>(dove la protagonista si chiama, guarda caso, proprio Lee…), solo per citarne alcuni. Per carità, <strong><em>Lee Miller</em></strong> non è peggiore di tanti titoli simili, ma il punto è che non riesce neanche a essere migliore e la domanda che segue è: forse ci stiamo stufando di vedere così tante rappresentazioni della Seconda Guerra Mondiale? Forse sarebbe il caso di mostrarla in maniera diversa (come fatto straordinariamente da <em><a href="https://unavitadacinefilo.com/2024/02/01/recensione-la-zona-dinteresse-2023/" rel="nofollow noopener" target="_blank">La Zona d’Interesse</a></em>)? Forse il problema di questo film è proprio nell’immaginario che ci mostra, a cui siamo probabilmente assuefatti? Rimugino su questo punto senza conoscere una risposta, certo però di poter aprire un motore di ricerca, sfogliare le immagini di Lee Miller e restare con gli occhi incollati a quelle foto straordinarie. Una reazione che, purtroppo, questo buon film non riesce a regalarci.</p><p class=""></p><p><span></span></p><p><a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/cinema/" target="_blank">#Cinema</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/commenti/" target="_blank">#commenti</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/film/" target="_blank">#film</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/foto/" target="_blank">#foto</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/fotografa/" target="_blank">#fotografa</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/guerra/" target="_blank">#guerra</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/kate-winslet/" target="_blank">#kateWinslet</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/lee-miller/" target="_blank">#leeMiller</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/recensione/" target="_blank">#recensione</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/spiegazione/" target="_blank">#spiegazione</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/storia/" target="_blank">#storia</a></p>
CEOTECH.IT<p>Instagram introduce il tasto segreto per i commenti<br><a href="https://mastodon.social/tags/AdamMosseri" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>AdamMosseri</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Aggiornamento" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Aggiornamento</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Android" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Android</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Commenti" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Commenti</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Instagram" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Instagram</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/iOS" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>iOS</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Meta" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Meta</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Moderazione" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Moderazione</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/NonMiPiace" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>NonMiPiace</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Notizie" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Notizie</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Novit%C3%A0" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Novità</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/SocialMedia" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>SocialMedia</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/SocialNetwork" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>SocialNetwork</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/TechNews" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>TechNews</span></a> <a href="https://mastodon.social/tags/Tecnologia" class="mention hashtag" rel="nofollow noopener" target="_blank">#<span>Tecnologia</span></a> </p><p><a href="https://www.ceotech.it/instagram-introduce-il-tasto-segreto-per-i-commenti/" rel="nofollow noopener" translate="no" target="_blank"><span class="invisible">https://www.</span><span class="ellipsis">ceotech.it/instagram-introduce</span><span class="invisible">-il-tasto-segreto-per-i-commenti/</span></a></p>
Una Vita da Cinefilo<p><strong>Recensione “Here” (2024)</strong></p><p class=""><em>Hic et nunc</em>, qui e ora, dicevano i latini. Qui e in ogni momento, risponde invece Robert Zemeckis, riarrangiando per il grande schermo la graphic novel omonima di Richard Maguire, dove osserviamo la storia di un pezzo di terreno, un lotto, una casa, un soggiorno, dagli albori della storia fino ai giorni nostri. Nel nuovo lavoro del regista di <em>Forrest Gump</em>, che vede la reunion cinematografica di Tom Hanks e Robin Wright, il tempo infatti scorre, così come le vite, con piccoli e grandi momenti di esistenze tutto sommato comuni, in un puzzle di gioie e dolori da comporre in un unico angolo del pianeta, attraverso i secoli, i decenni, gli anni.</p><p class="">Grazie a un massiccio utilizzo della computer grafica, che abbiamo già visto in altri film (come ad esempio <em><a href="https://unavitadacinefilo.com/2019/10/21/recensione-the-irishman-2019/" rel="nofollow noopener" target="_blank">The Irishman</a></em> di Martin Scorsese), i volti di Hanks e Wright tornano quelli della loro adolescenza, poi della loro età adulta grazie a un <em>de-aging</em> in fin dei conti credibile, se non fosse che sembra di trovarsi in un videogame iper-realistico, una sorta di versione cinematografica di <em>The Sims</em> o qualcosa del genere (ed è abbastanza inquietante pensare che in <em><a href="https://unavitadacinefilo.com/2014/05/27/recensione-the-congress-2013/" rel="nofollow noopener" target="_blank">The Congress</a></em> di Ari Folman, la stessa Robin Wright interpretava la parte di un’attrice che cedeva i diritti digitali del suo volto per poter essere replicata all’infinito in qualunque film). Al di là dei discorsi tecnici, la sfida di Zemeckis di costruire 100 minuti di film in uno spazio circoscritto è decisamente vinta, in una serie di continui rimandi ad epoche passate (o future), utilizzando non dissolvenze o netti stacchi di montaggio, ma inserendo nelle immagini piccoli riquadri che apriranno la finestra sulla scena (ed epoca) successiva, mantenendo puro lo spirito della graphic novel, dove Maguire inseriva in ogni tavola diversi riquadri per mostrare cosa accadeva in quell’angolo del soggiorno in un tempo differente rispetto a quello del racconto: credetemi, è più facile vederlo che raccontarlo. Quell’unico frame, con i suoi giochi di sovrapposizione e comunicazione tra epoche differenti, ha certamente il suo fascino, quantomeno a livello visivo, poiché a livello narrativo funziona a intermittenza: sì, è bellissimo seguire l’evoluzione di questa famiglia, è divertente anche osservare i soldati della guerra d’indipendenza festeggiare la resa degli inglesi, ma alla fine cosa resta? Qualche ricordo, un po’ di tenerezza e forse la scarsa indulgenza nei confronti dei personaggi, visto che ciò che emerge maggiormente sono le amarezze della vita, le malattie, le disillusioni, il modo in cui i sogni e le aspirazioni di gioventù marciscano sotto strati di polvere e frustrazione (<em>“Sarò un artista”</em>, dice il giovane Tom Hanks a suo padre Paul Bettany, che gli risponde ironicamente: <em>“il mondo ne ha proprio bisogno!”</em>).</p><p class="">Non si può certamente dire che <em><strong>Here</strong></em> non sia un’opera originale e, per certi versi, interessante: è solo il ciclo della vita che si svolge in quella casa che, probabilmente, non lo è davvero abbastanza.</p><p><span></span></p><p><a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/cinema/" target="_blank">#Cinema</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/commenti/" target="_blank">#commenti</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/di-che-parla/" target="_blank">#diCheParla</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/film/" target="_blank">#film</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/poster/" target="_blank">#poster</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/recensione/" target="_blank">#recensione</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/robin-wright/" target="_blank">#robinWright</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/significato/" target="_blank">#significato</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/spiegazione/" target="_blank">#spiegazione</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/storia/" target="_blank">#storia</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/tom-hanks/" target="_blank">#tomHanks</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/trama/" target="_blank">#trama</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/zemeckis/" target="_blank">#zemeckis</a></p>
Una Vita da Cinefilo<p><strong>Capitolo 393: Una Notte&nbsp;d’Autunno</strong></p><p class="">Da che mondo è mondo, dicembre è usualmente il mese in cui si corrono a recuperare tutti quei film, più o meno meritevoli, che ci siamo persi durante l’anno, in modo da poter stilare la classica lista dei film più belli dell’anno con cognizione di causa. In questo 2024, tuttavia, ho visto talmente tanta roba che mi ritrovo ora senza dover recuperare quasi nulla (a parte l’ultimo di Almodovar, che conto di vedere al più presto), quindi se avete consigli su cose davvero imperdibili uscite in sala quest’anno, fatevi sotto adesso o tacete per sempre (scherzo, non smettete mai di consigliarmi cose belle). Tra le altre cose, non sono neanche entrato ancora nel mood dei film natalizi, quindi aspettatevi l’ottocentesimo rewatch di <em>Love Actually</em>, presto o tardi.</p><p class=""><strong>Gloria – Una Notte d’Estate (1980):</strong> Gloria è forse il nome femminile più utilizzato nei titoli dei film, quindi è bene specificare che in questo caso si tratta dello splendido Leone d’Oro vinto da John Cassavetes, qui al suo terzultimo film. Il film comincia con una ragazza che entra in un condominio e si sente minacciata da qualcosa o qualcuno: è passato un minuto e sei già agganciato. La donna è la moglie di un pentito della mafia, sul quale pende una condanna a morte. All’arrivo dei gangster, giunti sul posto per far fuori tutta la famiglia, il marito affiderà alla vicina Gena Rowlands il figlioletto. La nostra è riluttante ma è costretta ad accettare suo malgrado: comincerà un viaggio tra le strade di New York con i due fuggitivi braccati dai mafiosi. Era da tempo che non vedevo un film così bello e coinvolgente, dove può succedere di tutto e non sai proprio cosa aspettarti. Gena Rowlands inoltre è straordinaria, iconica, totale. <em>Gloria</em> è stato scelto come film preferito per il progetto <a href="https://filmpeopleproject.wordpress.com/" rel="nofollow noopener" target="_blank">Film People</a>, che come sempre vi invito a seguire.<br>••••½</p><p class=""><strong>Milano Calibro 9 (1972):</strong> Al Teatro Palladium, giusto sotto casa mia, si è svolto come ogni anno il bel festival cinematografico Cinema Oltre, dove c’è sempre occasione per vedere ottimi film e incontrare professionisti del settore. Quest’anno, in chiusura di questi quattro giorni, è stata proiettata la versione restaurata di questo cult di Fernando Di Leo, in cui Gastone Moschin è un malvivente appena uscito di galera, sospettato dai suoi “colleghi” di aver trafugato un bottino importante prima di essere arrestato. Il nostro deve guardarsi le spalle per tutto il film, in un vorticoso viaggio nei meandri di una Milano cupa e pericolosa, dove risuona però una splendida colonna sonora. Nelle immagini di Di Leo c’è tanto (ma tanto) Jean-Pierre Melville, soprattutto <em>Frank Costello Faccia d’Angelo</em>, sia nei costumi che nello stile, la fotografia algida e, ovviamente, i temi. Bellissimo.<br>•••½</p><p class=""><strong>Witches (2024):</strong> Interessante documentario di Elizabeth Sankey che racconta, attraverso le testimonianze di diverse donne (lei compresa), la depressione post-partum, analizzando il rapporto tra la salute mentale e le streghe nella cultura popolare. Il lavoro è senza dubbio notevole e, osservando la qualità del documentario, prodotto con un budget più che importante, in tutta onestà però devo ammettere che non si tratta di un argomento sul quale mi soffermerei per un’ora e mezza, ma questo è ovviamente un problema soggettivo. Bellissimo l’uso di immagini tratte da decine e decine di film, da <em>Rosemary’s Baby</em> a <em>Suspiria</em>, da <em>The Witch</em> a <em>Ragazze Interrotte</em>, un perfetto tappeto visivo per le parole in sottofondo. Se il tema vi interessa, trovate il documentario su Mubi.<br>•••</p><p class=""><strong>Close Your Eyes (2023):</strong> Film spagnolo di Victor Erice, in selezione ufficiale a Cannes. Per un quarto d’ora ti chiedi cosa stai guardando, poi la storia prende tutta un’altra direzione e la trovata è davvero splendida: un attore è sparito durante la lavorazione di un film e ormai sono 30 anni che non si hanno più sue notizie, finché una trasmissione non riapre il caso intervistando il suo più caro amico, nonché regista di quel film. La cosa più bella è che si tratta di un film dalle molteplici letture: c’è il rapporto tra realtà e finzione cinematografica, il discorso sul cinema che preserva la memoria ma c’è anche il tema dell’identità (la primissima inquadratura è su una scultura di Giano Bifronte), visto che diversi personaggi hanno più nomi, sia personaggi del film, che quelli del film nel film (oltre al bebé che deve ancora nascere). <em>“Che cos’è un nome?”</em>, dice il protagonista a un certo punto. Tutto bello, tutto interessante, tutto affascinante (compresa la meravigliosa Soledad Villamil, indimenticabile ne <em>Il Segreto dei Suoi Occhi</em> di Campanella), eppure non mi ha mai emozionato per un istante. Peccato.<br>•••</p><p class=""><strong>Berlin, I Love You (2019):</strong> Maldestro tentativo di replicare la meravigliosa bellezza di <em>Paris, Je T’Aime</em> (del 2006, ve ne ho parlato <a href="https://unavitadacinefilo.com/2024/10/13/capitolo-389-stranger-than-cinema/" rel="nofollow noopener" target="_blank">qui</a>). Un conto però è avere registi come i Coen, Cuaron, Payne, Salles o Van Sant, tra gli altri, un altro è non averli, con tutto il rispetto per chi ha diretto i dieci episodi di questa raccolta tedesca. Lo schema è sempre lo stesso del film di Parigi (e di quelli successivi su Tokyo e Rio): una raccolta di cortometraggi che hanno come tema l’amore, ambientati ovviamente nella città del titolo. C’è Jim Sturgess che si innamora di un’auto, Keira Knightley alle prese con Helen Mirren, Diego Luna transessuale che discute di amore con un adolescente e via dicendo. Le storie però sono deboli e la bellezza di Berlino non basta a salvarsi da un prevedibile naufragio. Se proprio non potete farne a meno, lo trovate su Prime.<br>••</p><p class=""><strong>Nosferatu il Principe della Notte (1979):</strong> Incipit stupendo e terrificante, che ti trascina subito dentro al film, come solo i grandi maestri come Herzog possono fare. Il regista tedesco, a suo dire, con questo remake del capolavoro di Murnau voleva creare un ponte tra l’espressionismo tedesco degli anni 20 e il nuovo cinema tedesco degli anni 70, di cui lui e Wenders sono stati i più illustri esponenti. La storia è quella del vampiro di Bram Stoker (che qui tra l’altro si chiama proprio Dracula) e nei panni del non morto c’è Klaus Kinski, che stranamente invece di infondere follia al personaggio, lo rende invece quasi umano, malinconico, forse la cosa più bella del film. Per il resto il film non mi è sembrato essere invecchiato stupendamente, ma questo potrebbe anche essere perché l’ho rivisto pochi giorni dopo aver amato la nuova versione di Robert Eggers (trovate la recensione completa <a href="https://unavitadacinefilo.com/2024/12/07/recensione-nosferatu-2024/" rel="nofollow noopener" target="_blank">qui</a>!), esteticamente clamorosa. L’opera di Herzog resta comunque un lavoro affascinante, che merita di essere recuperata soprattutto prima di andare a scoprire il nuovo <em>Nosferatu</em>, che uscirà in sala il 1° gennaio.<br>•••½</p><p><span></span></p><p><a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/berlin-i-love-you/" target="_blank">#berlinILoveYou</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/cinema/" target="_blank">#Cinema</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/close-your-eyes/" target="_blank">#closeYourEyes</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/commenti/" target="_blank">#commenti</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/di-che-parla/" target="_blank">#diCheParla</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/film/" target="_blank">#film</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/gloria/" target="_blank">#gloria</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/milano-calibro-9/" target="_blank">#milanoCalibro9</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/nosferatu-herzog/" target="_blank">#nosferatuHerzog</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/recensione/" target="_blank">#recensione</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/witches/" target="_blank">#witches</a></p>
Una Vita da Cinefilo<p><strong>Recensione “Nosferatu” (2024)</strong></p><p class="">Parafrasando Nietzsche, si può dire che <em>se&nbsp;tu guarderai a lungo nell’oscurità,&nbsp;anche l’oscurità&nbsp;vorrà guardare&nbsp;dentro&nbsp;di&nbsp;te</em>. Ed è proprio in un buio accecante che Eggers immerge lo spettatore (e Lily-Rose Depp) sin dalla primissima inquadratura, come a volerlo rendere parte di quella stessa notte buia, la stessa oscurità nella quale il regista fa muovere le sue ombre.</p><p class="">Il vampiro Nosferatu, il “non spirato”, nasce nel 1922 come plagio cinematografico del capolavoro di Bram Stoker <em>Dracula</em>, in uno dei film più simbolici della cinematografia di Murnau, dell’espressionismo tedesco e senza dubbio di tutto il cinema muto: qualunque cinefilo che si rispetti avrà presente l’inquietante sagoma deformata di Max Schreck, il primo Nosferatu del cinema, proiettata sulla parete della sua decadente magione. Eggers prende quell’ombra e la diffonde per 135 minuti di film sugli occhi di chi guarda, soprattutto tra le pieghe di un desiderio latente, quello di una protagonista eccezionale, che rispetto alle versioni precedenti di <em><strong>Nosferatu</strong></em>, qui diventa il vero e proprio motore della storia: Lily-Rose Depp è infatti splendida e inquietante al tempo stesso, a tal punto che forse mi spaventerebbe addirittura incontrarla per strada, e concede tutta se stessa ai suoi demoni, alla sua solitudine, al suo desiderio, in una società maschilista controllata da inetti, come il marito della sua Ellen, il solito Nicolas Hoult confuso e incapace di cambiare espressione, non importa se il suo personaggio venga bullizzato nel liceo descritto da Nick Hornby, sia in preda a dubbi etici e morali nella giuria di Clint Eastwood o terrorizzato nei Carpazi da un uomo molto più carismatico di lui (sebbene si tratti di uno spaventoso vampiro, questo glielo concediamo). Perché, diciamolo, è molto più interessante il rapporto che intercorre tra Ellen e Orlok rispetto a quello che la donna ha con suo marito: è infatti la lotta contro l’oscurità che Leni porta dentro la vera anima di questo convincente lavoro di Eggers, un horror gotico ricco di atmosfere e suggestioni appartenenti al secolo scorso, ma capace anche di essere moderno, sempre credibile e mai grottesco. La grandezza di questa nuova versione di <em><strong>Nosferatu</strong></em> è, al di là dell’indubbia potenza visiva, la capacità di reinventarsi in ogni scena, di essere coinvolgente anche di fronte a una storia che abbiamo visto in tutte le salse, che il regista statunitense però riesce a modernizzare con la metafora, neanche troppo sottile, di una donna indipendente in lotta contro una società di maschi dominanti, che frenano i suoi desideri, che decidono come deve vivere e che addirittura tentano di frenare la sua “follia” facendole indossare corpetti più stretti.</p><p class="">Il Conte Orlok può anche far paura (bravo Skarsgaard, ormai abbonato a vestire i panni dei <a href="https://unavitadacinefilo.com/2017/10/22/recensione-it-2017/" rel="nofollow noopener" target="_blank">mostri</a>), ma non sarà mai così spaventoso come quando Eggers costringe noi spettatori – e ogni personaggio dei suoi film – a fare i conti con l’oscurità che portiamo dentro, che probabilmente rinneghiamo, ma che forse dovremmo imparare a riconoscere. Perché anche dopo la notte più buia, c’è sempre il sorgere del sole.</p><p class=""></p><p><span></span></p><p><a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/cinema/" target="_blank">#Cinema</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/commenti/" target="_blank">#commenti</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/da-vedere/" target="_blank">#daVedere</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/di-che-parla/" target="_blank">#diCheParla</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/eggers/" target="_blank">#eggers</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/film/" target="_blank">#film</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/locandina/" target="_blank">#locandina</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/metafora/" target="_blank">#metafora</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/nosferatu/" target="_blank">#nosferatu</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/recensione/" target="_blank">#recensione</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/significato/" target="_blank">#significato</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/spiegazione/" target="_blank">#spiegazione</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/storia/" target="_blank">#storia</a> <a rel="nofollow noopener" class="hashtag u-tag u-category" href="https://unavitadacinefilo.com/tag/trama/" target="_blank">#trama</a></p>

Capitolo 392: Sixteen Candles

Come avrete avuto modo di leggere sui social, se seguite le pagine di Una Vita da Cinefilo (su facebook e twitter) e di filmpeopleproject (su instagram e threads), il primo dicembre il nostro amatissimo blog ha compiuto la bellezza di 16 anni. In un mondo in cui i magazine online sono costretti a chiudere e dove regna il dominio di reels, tiktok e videorecensioni, che ci siano tante persone che ancora leggono le mie recensioni è un piccolo miracolo. In questi 16 anni le soddisfazioni non sono mancate: sulle dispense del corso di Critica Cinematografica 1, Appunti di Storia e Critica Del Cinema dell’Università di Bologna, Una Vita da Cinefilo viene citato come un modello alternativo e valido rispetto a quello della critica ufficiale, mentre la rivista 8½, progetto editoriale realizzato da Cinecittà, ha inserito il nostro tra i 10 blog cinematografici più autorevoli, innovativi, efficaci e originali.

Se vi piace quello che leggete, condividete un articolo o una recensione, commentate, ditemi sempre la vostra, interagite sui social e divertitevi con me a chiacchierare di film e serie tv (anche se un po’ più di film, come sapete!). Il rapporto i lettori e le lettrici è sempre stato uno dei punti di forza di questo spazio e sarebbe bello farlo conoscere ad altri appassionati e ad altre appassionate come noi. Taglio corto: grazie a chi c’è stato in questi 16 anni e grazie a chi c’è ancora! E adesso parliamo di film.

Il Robot Selvaggio (2024): Per il cinema d’animazione deve essere l’anno dei robot e dei disastri climatici, visto che quest’anno sono già usciti i meravigliosi Il Mio Amico Robot e, recentemente, Flow. In un mondo ormai invivibile a causa dei cambiamenti climatici, un robot naufragato su un’isola, si attiva e cerca compiti a cui ottemperare. L’isola però è abitata solo da animali, tra cui una piccola oca, che pensa che il robot sia sua madre. Divertente e tenero, è il classico film d’animazione per i più piccoli che riesce però a fare breccia negli occhi degli adulti. In originale è spassoso godersi il doppiaggio, tra gli altri, di Lupita Nyong’o, Ving Rhames, Bill Nighty, Pedro Pascal e Mark Hamill. Bello, anche se, rispetto ai due titoli sopracitati, questo è destinato più a un pubblico preadolescente.
•••½

Do Not Expect Too Much From the End of the World (2023): Un film con due film paralleli che conversano tra loro (questo, di Radu Jude, e un altro film romeno del 1981, Angela Merge Mai Departe), un geniale piano sequenza finale di quasi 40 minuti, una protagonista femminile straordinaria (quanto l’attrice che la interpreta, Ilinca Manolache), un’opera ricca di citazioni, capace di raccontare perfettamente i tempi che corrono, personaggi social compresi. Il film racconta le giornate frenetiche di un’assistente di produzione alle prese con una sorta di pubblicità progresso per sensibilizzare gli operai di una multinazionale sulla prevenzione dagli infortuni sul lavoro. Totalmente fuori di testa, ma irresistibile (e come se non bastasse, c’è pure un cameo del regista Uwe Boll). Il cinema romeno non è solo il grande Mungiu e questa è una notizia eccellente.
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The Beast (2023): L’ultimo film di Bertrand Bonello, già autore del bellissimo Nocturama e del notevole Zombi Child, è forse il suo lavoro più ambizioso, pieno di rimandi a David Lynch (la scena conclusiva è proprio una dichiarazione d’amore a Twin Peaks), forse imperfetto, ma ricco di suggestioni visive, in una sorta di effetto droste del subconscio e della vita stessa. Esteticamente suggestivo (la Parigi del 2044 è perfettamente credibile), come ogni altra opera di Bonello è un film che si specchia un po’ troppo nel suo bisogno di essere “diverso”, come se volesse ogni cinque minuti dare di gomito allo spettatore per dirgli, sottovoce, “hai visto che scena eh?”. Faticoso nel primo atto, ma quando poi decolla diventa intrigante a non finire. Lea Seydoux è un’attrice totale e probabilmente non meritava una controparte così anonima come George MacKay, un attore che proprio non digerisco (che peccato non aver visto al suo posto il compianto Gaspard Ulliel, inizialmente scelto per il ruolo). Ad ogni modo è un film davvero bello, talmente affascinante da poter sorvolare su ogni imperfezione.
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La Tigre e il Dragone (2000): Quando ho visto questo film per la prima volta, al cinema Galaxy di Primavalle, ero ancora un fantastico adolescente, strabiliato dall’estetica di questo autore (Ang Lee), ammaliato dalla poesia di questa avventura, incentrata su una spada, sui ladri che la vogliono trafugare, sui guerrieri erranti che la vogliono recuperare. Un venerabile maestro, in procinto di godersi la meritata pensione, è costretto a rimettersi in gioco per salvare ciò che di più prezioso ha al mondo. No, non è la storia di Claudio Ranieri, ma un cappa e spada esteticamente meraviglioso, di cui non ci si stanca mai. Dieci candidature agli Oscar (e quattro statuette) per un film senza tempo. Una curiosità: il titolo originale (traducibile come “la tigre accucciata, il dragone nascosto”) è un’espressione cinese che indica i talenti celati. Bellissimo.
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Look Back (2024): Il cinema giapponese ci ha abituato talmente bene con i film d’animazione che, quando capita di vederne uno non straordinario, finiamo per storcere il naso più di quanto il film meriti. Il destino che tocca a quest’opera di Kiyotaka Oshiyama, che racconta la storia di due ragazze appassionate disegnatrici di fumetti e del destino che le lega. Il film parte bene, appare interessante sin da subito, ma manca qualcosa, manca tanto, forse troppo. Niente di più di una storia d’amicizia resa forte da una grande passione, che sfocerà nelle inevitabili incomprensioni, prima di un improbabile punto di non ritorno. Il pregio è che dura meno di un’ora, il difetto è quasi tutto il resto.
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SERIE TV: Vi era mancata la sezione con gli aggiornamenti sulle serie tv, vero? Bene, a proposito di animazione giapponese, parliamo subito del reboot di quel capolavoro di Ranma 1/2, di cui Netflix propone un episodio ogni sabato. Ora che ho già visto 9 episodi posso già esprimere la mia sul progetto: è un altro capolavoro, è esilarante, è avvincente, è coinvolgente, è meraviglioso tanto quanto l’originale. L’unico grande difetto, ma non è colpa della produzione, è il doppiaggio italiano, soprattutto per chi, come il sottoscritto, è affezionatissimo alle voci originali del cartone anni 90 (In particolare la nostra amata Akane, che senza la voce di Stella Musy perde davvero troppo). Comunque serie stupenda, i fan dell’originale non resteranno delusi.
Nelle ultime settimane ho continuato quella che dovrebbe finalmente essere l’ultima stagione di Cobra Kai, che ormai sta agonizzando dopo la straordinaria idea che aveva reso le prime due stagioni indimenticabili. Ora Netflix ha messo a disposizione un’altra tranche di episodi, in attesa della conclusione che dovrebbe arrivare nel 2025. Le idee ormai cominciano a scemare, è tutto talmente poco credibile da risultare costantemente posticcio, eppure gli ultimi dieci minuti dell’ultimo episodio messo a disposizione quest’autunno sono stati davvero una splendida sorpresa: è proprio vero, Cobra Kai never dies!
Da prima dell’estate inoltre sto guardando, mentre ceno, un episodio al giorno di Scrubs, che amavo molto ai tempi dell’università, quando trasmettevano gli episodi su MTv. Le prime quattro stagioni conservano ancora intatta la freschezza della serie, poi però già dalla quinta si intravede il cosiddetto “salto dello squalo”, come si dice in gergo e si avverte, lentamente, l’inevitabile declino. In totale sono nove stagioni ma non so se arriverò fino in fondo: la prima resta comunque un caposaldo nella storia delle commedie per il piccolo schermo (e Perry Cox uno dei suoi personaggi più iconici, ancora oggi straordinario).

Capitolo 391: Cavalli a Dondolo e Cammelli

C’è tanta carne nel fuoco di questo freddo novembre, dal quale sono riemersi dai letarghi estivi i piumini più caldi e i cappotti più lunghi. Sette film che ballano tra la grandezza assoluta e la schifezza più inutile, ma anche tra primissimi piani su ragazze bellissime (Celeste Dalla Porta e Jennifer Connelly) a campi lunghissimi di cammelli nel deserto, fino a portarci nel distopico futuro di Coppola. Insomma, c’è talmente tanta roba da aver lasciato fuori dall’elenco l’ultimo film di Clint Eastwood, Giurato Numero 2, di cui però potete leggere la recensione completa. Tanti altri grandi film sono in arrivo, per cui restate sintonizzati (e vi ricordo che potete seguire tutto ciò che vedo sulla mia pagina Letterboxd).

The Snapper (1993): Trasposizione televisiva, prima dell’approdo in sala, realizzata da Stephen Frears, che ha adattato l’esilarante romanzo Bella Famiglia di Roddy Doyle. La figlia maggiore di una numerosa famiglia di Dublino resta incinta (snapper, in dialetto irlandese, significa proprio sbarbatello, bebé), ma non vuole rivelare l’identità del padre. I pettegolezzi inondano il quartiere e toccherà al patriarca Colm Meaney (irresistibile come sempre) mettere a tacere le voci e tenere unita la famiglia. Nel pieno della tradizione cinematografica irlandese dell’epoca (vedi The Commitments o Due sulla Strada, entrambi tratti da romanzi di Doyle), il film è spassoso, divertente, pienamente godibile, grazie anche ad una fotografia molto calda, botta e risposta secchi, immagini sempre ricche di personaggi. Good vibes a non finire: ok la moda degli anni 80, ma che bello pure il cinema degli anni 90.
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Parthenope (2024): Una fantasia maschile confezionata dalle mani di un maestro. Una ragazza bellissima che tutti desiderano e nessuno riesce a tenersi, una città splendida nella sua decadenza, crepuscolare nel suo splendore, accecato da sole, mare, bellezze di marmo rovinate dal tempo e il solito caleidoscopio di personaggi più o meno iconici. In questo film si giocano due campionati: quello dei pesi massimi, quando vedi in scena Gary Oldman e Silvio Orlando (pagherei oro per vedere uno spin-off incentrato solo su di lui), e poi quello in cui giocano i giovani attori, fuori luogo e fuori posto (casting discutibile). Alcuni momenti ovviamente splendidi e scelte musicali perfette, è pur sempre un film di Paolo Sorrentino, oltre ad alcune riflessioni sul tempo che passa che sono esattamente pane per i miei denti. Nel complesso però è un film sfilacciato, che si specchia nelle sue frasi ad effetto e nella bellezza della milanese Celeste Dalla Porta, dalla quale, come del resto fanno i personaggi del film, non riusciamo a staccare gli occhi di dosso (anche perché, con tutti quei primi piani, sarebbe difficile). Per essere un film di Sorrentino è deludente, non c’è dubbio, anche se sono tanti i momenti che ti porti appresso dopo l’uscita dalla sala.
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Super/Man: The Christopher Reeve Story (2024): Bellissimo e soprattutto emozionante documentario realizzato da Ian Bonhôte e Peter Ettedgui, incentrato sull’attore Christopher Reeve, primo, indimenticabile Superman cinematografico e, per quanto mi riguarda, unico Superman esistente (quello dei film dei due Richard, Donner e Lester). Il documentario ripercorre la vita di Reeve, il celebre casting per Superman, scoraggiato dal compagno di teatro William Hurt, la vita sentimentale, la famiglia e, ovviamente, l’incidente e la conseguente lesione spinale che lo rese tetraplegico. Un film che sottolinea la capacità dell’attore di trovare una nuova vita, di impegnarsi in una fondazione per la ricerca e di non mollare mai un centimetro nonostante la paralisi, il tutto raccontato dai suoi figli e dalle persone che gli erano accanto (come i colleghi Susan Sarandon, Jeff Daniels, Glenn Close e Whoopi Goldberg). Emozionano in particolare gli aneddoti sulla straordinaria amicizia tra Christopher Reeve e Robin Williams. Una storia piena di intensità (ma anche di momenti ironici), un racconto ben realizzato, un bellissimo documentario.
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Audition (1999): Che Takashi Miike sia matto scocciato (in senso buono) è abbastanza risaputo. Che si sia fatto conoscere in tutto il mondo grazie a questo film, l’ho scoperto solo ora. Rimasto vedovo, un uomo di mezza età, incoraggiato dal figlio, decide di aprirsi nuovamente all’amore. Grazie a un amico, produttore cinematografico, organizza un’audizione per un film che non si farà mai, al solo scopo di poter incontrare e conoscere una gran quantità di donne diverse. La scelta cade su una ragazza molto dolce e dall’aria malinconica, che secondo l’amico produttore però ha fornito solo referenze false. Che si nasconde dietro? Dietro si nasconde un film strepitoso, in pieno stile Miike, che nasce come romance, prosegue come noir, finisce come… Legatemi, non posso dire altro. Lo trovate su Mubi, ma ci sono alcuni momenti abbastanza cruenti quindi preparatevi.
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Tutto Può Accadere (1991): Un’ora e venti di male gaze su Jennifer Connelly che, per carità, potrei ammirarla anche per dieci ore, però magari intorno avrei preferito vederci un film. Tentativo (fallito) di rendere Frank Whaley (celebre per essere stato crivellato da Samuel L. Jackson nel primo atto di Pulp Fiction) il nuovo Matthew Broderick. Seconda, nonché penultima regia di Bryan Gordon, è la storia di un adolescente sbruffone, chiacchierone e nullafacente che, obbligato a lavorare come addetto alle pulizie notturno di un grande magazzino, si ritrova a passare la notte con una rampolla ribelle rimasta anch’ella chiusa dentro il negozio (che ovviamente è Jennifer Connelly, mai così meravigliosa, soprattutto nella scena in cui ci imbambola mentre monta su un cavallo a dondolo). John Hughes, tra i produttori e sulla cresta dell’onda per il successo di Mamma Ho Perso l’Aereo, si è talmente vergognato di questo film da chiedere, invano, di non essere citato nei titoli di testa. Non a torto: il film è veramente inutile, non è ironico (ci prova, sicuro, ma il protagonista è troppo irritante per risultare divertente), non è avvincente (e qui neanche ci prova), non è veramente nulla. Ah no, una cosa è senza dubbio: dimenticabile.

Megalopolis (2024): L’opera più divisiva del 2024 nonché una di quelle destinate a essere maggiormente ricordate. Il film a cui Francis Ford Coppola sta lavorando dai tempi di Apocalypse Now è finalmente realtà e c’è talmente tanta roba dentro che meriterebbe un saggio a parte, un approfondimento tutto suo. Quel che è certo è che sarà studiato, analizzato e raccontato in tesi di laurea e corsi universitari, data la sua visione del futuro, il modo in cui mette in scena i lati più oscuri del capitalismo immergendo il tutto in un’enorme metafora sulla caduta dell’Impero Romano. In pochissime parole è la storia di un architetto (Adam Driver) che sogna di costruire un’utopica comunità futuristica per far risorgere la città dai suoi mali. Ad ostacolare il progetto però, c’è un sindaco avido e conservatore (Giancarlo Esposito) che vorrebbe invece costruire un enorme casinò per arricchire le casse comunali. In mezzo a questa faida ci sono complotti, scandali, attentati, sesso, storie d’amore e sensi di colpa, oltre al potere di fermare il tempo, di renderlo sostanza, di plasmarlo a proprio piacimento. Un imponente caleidoscopio di grandezza e decadenza, che non solo mescola New York e l’Antica Roma in un’unica, distopica, realtà, ma riflette anche il pensiero di uno dei più grandi registi della sua generazione, capace di non scendere mai a compromessi con nessuno, di vendere i suoi asset personali pur di mettere in scena la sua visione del mondo, con un messaggio di speranza e una richiesta di ottimismo. Penso che il mondo ancora non sia pronto per questo film, ma ai vostri figli piacerà!
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Lawrence d’Arabia (1962): La vita va avanti, anno dopo anno, ed è bellissimo ogni tanto scoprire di avere ancora meraviglie di questo tipo da poter vedere per la prima volta. Sembra come rinascere e di finire la giornata sentendoti più ricco, in una migliore versione di te (senza bisogno di prendere alcuna substance!). Durante la prima guerra mondiale, il tenente Peter O’Toole è un cartografo inglese di stanza al Cairo. Interessato alla cultura araba e convinto che le tribù possano diventare un prezioso alleato contro i turchi, che presiedono la penisola araba, viene mandato, tra lo scetticismo dei generali, a incontrare l’emiro Alec Guinness in mezzo al deserto, insieme al quale tenterà di mettere in piedi una rivolta (e se organizzi una rivolta con il futuro Obi Wan Kenobi, le possibilità di successo diventano notevoli). Non so da dove cominciare per magnificare un film di questo genere: la grandezza della messa in scena, tale da farlo sembrare una sorta di Dune ante litteram (non a caso ispirò pesantemente il romanzo di Frank Herbert, uscito tre anni dopo, dove la figura di Paul Atreides mostra molti punti in comune con Thomas Edward Lawrence), la bellezza delle immagini, i risvolti politici e strategici di ogni battaglia, i tanti semi gettati nella storia del cinema (raccolti appunto da Dune, ma anche da Star Wars, Braveheart o Avatar, a mio avviso), oltre ad aver ispirato generazioni su generazioni di cineasti. Sette premi Oscar, ma soprattutto un film enorme.
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Un film di Clint Eastwood non è mai soltanto un film di Clint Eastwood: quando ti siedi sulla poltroncina del cinema e le luci si spengono, avverti immediatamente il peso di decenni di cinema e delle aspettative che un nome del genere porta con sé. Uno che, alla veneranda età di 94 anni, vanta come sia come attore che come regista una filmografia impressionante. Con questo bagaglio di capolavori passati è problematico patteggiare con questo suo ultimo film, quasi un incrocio, più o meno riuscito, tra La Parola ai Giurati di Sidney Lumet, Delitto e Castigo e Un giorno in pretura (la trasmissione televisiva, non il film): il senso di colpa, la morale, il bisogno di dare un senso alla parola giustizia, tutti temi incredibilmente interessanti, forse affrontati da Eastwood con un sentimentalismo eccessivo per uno che per tutta la vita non ha fatto altro che mostrarci quanto fosse tosto.

Le premesse, tuttavia, sono incredibilmente coinvolgenti: Nicholas Hoult ha una bella moglie (Zoey Deutch, di cui già mi ero follemente innamorato in Tutti Vogliono Qualcosa di Linklater) e un bebè in arrivo, quando viene chiamato a far parte della giuria in un caso di omicidio. Quando si trova in aula ad ascoltare che l’imputato ha ucciso la moglie all’altezza di un cavalcavia e poi l’ha gettata in un dirupo, capisce che quella stessa buia e tempestosa notte, su quella stessa strada, quello che aveva colpito con la sua auto non era forse un cervo. Il conflitto è quindi atroce: il giurato ha letteralmente il potere di assolvere l’uomo e distruggere la propria famiglia o di farsi mangiare dal rimorso, pur salvando la propria vita. Cosa succederà ora? Questa è davvero una domanda che ci terrà per qualche minuto letteralmente agganciati alla poltroncina.

Il secondo atto, che si apre con l’omaggio al capolavoro di Lumet (e per un paio di minuti rasenta il remake), si regge sulle spalle di J. K. Simmons, che ruba la scena a un Hoult troppo impegnato a commiserarsi nei suoi dilemmi etici per non sembrare eccessivamente posticcio. Da qui in poi il film è impostato sul pilota automatico, tra continui primi piani sulla sofferenza del protagonista, svolte più che prevedibili e la solita retorica nazionalista del nostro Clint, che fa brindare i suoi avvocati alla grandezza del sistema giudiziario americano e solleva dubbi nel suo pubblico ministero dopo una semplice occhiata al motto In God we trust, affisso in aula. Giurato Numero 2, nonostante le ottime premesse, fa il suo compito e a suo modo funziona, ma tutto ciò che ne esce fuori è il classico “bel film da guardare in aereo”.

https://unavitadacinefilo.com/2024/11/11/recensione-giurato-numero-2-2024/

Un celebre cartellone, esposto qualche tempo fa durante una manifestazione, recitava la frase “avevamo aspettative basse, ma…”, seguito da un’espressione che non è possibile riportare. Una frase che basterebbe da sola a commentare il sequel meno necessario degli ultimi decenni di cinema, in cui Joaquin Phoenix vaga a vuoto, talvolta ridendo, talvolta piangendo: potrebbero essere le stesse reazioni che ha avuto mentre leggeva la sceneggiatura. Già, perché non si salva davvero niente da questo naufragio cinematografico, né gli interpreti principali, ridotti ad essere la caricatura di loro stessi, né i tanto attesi momenti musicali, che invece di farci alzare in piedi per ballare insieme al Joker, risultano talmente piatti e privi di brio da costringere alcuni spettatori a lasciare la sala anzitempo (è successo davvero).

Il primo film si chiudeva con Arthur Fleck che, in diretta televisiva, aveva appena ucciso Murray Franklin, il celebre conduttore del suo talk show preferito. In Joker: Folie à Deux, Arthur è detenuto in un istituto psichiatrico, in attesa di essere processato per i fatti accaduti nel film precedente. Qui conosce Lee, una donna internata per aver dato fuoco a una palazzina, capace con la sua voce e i suoi sorrisi di infondere musica e amore in Arthur, che ormai sembrava diventato un corpo senz’anima, privo di gioia, privo di vita.

Più che Arthur, a meritare un processo sarebbe Todd Phillips: per aver sprecato il talento di Lady Gaga, ridotta praticamente ad essere un volto sullo sfondo di un’aula di tribunale, per averci fatto sentire come canta Joaquin Phoenix, ma anche per aver messo in piedi uno spettacolo tedioso, quasi cringe, per usare un termine tanto in voga oggigiorno. Perché in questo sequel del fortunatissimo Joker sembra non divertirsi veramente nessuno: né chi l’ha girato né i protagonisti e, di conseguenza, neanche il pubblico. Senza un film di Scorsese da prendere come riferimento (forse stavolta poteva tentare con New York, New York?), Phillips non ha la bussola per portare la sua storia a fondo con convinzione e buone idee, mostrando quanto sia fragile l’uomo nascosto dietro l’antieroe amato dalle folle incendiarie, calzante metafora per dire quanto sia debole questo sequel dietro la maschera del film precedente. Avevamo aspettative basse, ma… diamine!

https://unavitadacinefilo.com/2024/10/01/recensione-joker-folie-a-deux-2024/

#Cinema#commenti#film

Horizon è il tipico insediamento dei film western verso il quale sono tutti diretti. Horizon è il mito della frontiera, è l’ovest, è una promessa, è un punto d’arrivo, è la speranza. La città di Horizon, per molti se non per tutti, sembra essere il futuro: “Un luogo in cui riesco a immaginarmi”, afferma il personaggio interpretato da Kevin Costner. Spesso però il viaggio non è la destinazione, ma il percorso fatto per raggiungerla ed è questo il succo delle prime tre ore di questa epopea ambiziosa, non sempre avvincente, ma comunque imponente messa in piedi da Kevin Costner in questo primo capitolo dell’American Saga di Horizon, che prevede una seconda parte in uscita ad agosto e altri due film attualmente in lavorazione (anche se il deludente esordio al box office statunitense, a fronte del 100 milioni di dollari spesi, potrebbe far cadere tutto il castello).

Raccontato attraverso quattro storie parallele, intersecate tra loro, Horizon è praticamente l’episodio pilota più lungo della storia del cinema, in cui vengono presentati personaggi, ambientazioni, caratteri e obiettivi. C’è la vedova Sienna Miller, sfuggita al massacro da parte degli Apache, che ha una cotta per il tenente dell’Unione. C’è il cowboy solitario, Costner in persona, che si prende a cuore la causa di una prostituta, scortandola per un’America ostile insieme al bambino (non suo) di cui lei si sta prendendo cura. C’è la carovana in viaggio attraverso lande desolate e pericolose, guidata da un saggio Luke Wilson, oltre agli inevitabili cacciatori di indiani, insieme ai quali si muove un giovane adolescente che sta appena cominciando a distinguere il bene dal male.

Una sorta di miniserie composta da film interminabili, con una regia ad ampio respiro, che sfrutta i sensazionali paesaggi statunitensi, così come la splendida fotografia di J. Michael Muro. In questo costosissimo progetto c’è la nostalgia del cinema americano nei confronti del suo genere per eccellenza, il western, qui omaggiato in ogni sua forma. Il primo capitolo come detto mette le carte in tavola, è quasi un lungo preambolo a ciò che presumibilmente vedremo nei film successivi, se mai il regista riuscirà a girare anche l’altra metà del progetto. Non tutto funziona a dovere, ma sequenze come quella dell’assedio di Horizon, del bagno notturno di un’inglese tanto bella quanto viziata o del tentato battesimo del fuoco del giovane pistolero, sono barlumi di splendido cinema che rendono necessaria l’attesa per il secondo capitolo (in arrivo a metà agosto). Polvere, tramonti infuocati e una costante necessità di sopravvivere: un western vecchio stile di questa portata forse è un po’ troppo anacronistico rispetto al cinema di oggi, ma la bellezza di certe immagini non può mai passare di moda. Le premesse per una grande opera ci sono: aspettiamo fiduciosi il resto.

https://unavitadacinefilo.com/2024/07/03/recensione-horizon-capitolo-1-2024/